Seconda Conferenza – Capire il Karma di Rudolf Steiner

Seconda conferenza

Rudolf Steiner

Ciò che più ho detestato il mio vero Io

lo ha voluto più di ogni altra cosa

Berlino, 30 gennaio 1912 39

Miei cari amici! Le osservazioni che abbiamo fatto una settimana fa, per come sono state portate, avranno forse avuto per qualcuno qualcosa di incomprensibile, o addirittura di inquietante. Ma non appena stasera ci addentreremo meglio in questo o quel particolare vedrete che si farà maggiore chiarezza su queste cose. Che cosa ci eravamo posti dinanzi all’anima durante la scorsa riunione del gruppo serale? Per l’essere complessivo dell’uomo era qualcosa di simile a ciò che un individuo compie in un momento della vita in cui voglia riflettere su esperienze o vicissitudini da lui avute in passato. Il ricordo, la memoria sono esperienze dell’anima che si fanno nell’ordinaria vita dell’anima solo per ciò che riguarda la nascita e la morte – o meglio, per un lasso di tempo che ha inizio dopo la nascita, nella prima infanzia. Sappiamo che l’uomo con la coscienza ordinaria può arrivare a ricordare solo fino ad un certo momento della sua infanzia, il resto lo viene a sapere da parenti o da conoscenti. Intendendo il lasso di tempo che abbiamo appena caratterizzato, noi parliamo di ricordo. Non è possibile qui esaminare in maniera più approfondita i concetti di ricordo e memoria, e del resto questo non è neanche necessario per il nostro fine. Ci basta porre dinanzi alla nostra anima il fatto che a queste due parole appartiene il riflettere su esperienze e situazioni vissute nel passato. Ciò che abbiamo osservato la volta scorsa è qualcosa di simile al ricordarsi. Soltanto che non dovrebbe riferirsi solo a quello che è successo nella vita attuale, ma dovrebbe ampliarsi per condurci oltre la presente incarnazione e darci la certezza che abbiamo già vissuto un’altra vita prima di questa. Il ricordarsi deve diventare un processo di tipo più elevato rispetto a quello seguito nella vita quotidiana. Quando una persona che abbia imparato qualcosa, più tardi lo estrae dal profondo della sua anima per utilizzarlo, in quel caso abbiamo un normale processo del ricordare. L’altro processo che abbiamo preso in considerazione la volta scorsa è anch’esso un evento dell’anima: in relazione ad una vita passata dovrebbe accadere qualcosa di simile, così da far sgorgare in noi quello che abbiamo vissuto in una vita passata. Non dobbiamo però pensare che tutto questo ci possa dare un’immagine esatta di quello che siamo stati nella vita precedente. Deve essere soltanto un aiuto perché riaffiori ciò che è scomparso nei recessi della memoria, proprio come il ricordarsi è un aiuto per la vita presente. Riassumiamo ora ciò che abbiamo detto in relazione alle vite passate. Con un po’ di conoscenza di sé ci salta all’occhio qualcosa di cui diciamo: sappiamo che questa cosa è effettivamente avvenuta. Riconosciamo il contesto in cui si è verificata e ci diciamo: sei stato un superficiale, per questo è comprensibile che la cosa sia andata così. È dipeso dal tuo modo di essere. Ma ci sono anche parecchi avvenimenti dei quali non riusciamo a capire come possano dipendere dalle forze della nostra anima. E allora parliamo di colpi del destino e di coincidenze casuali, perché non riconosciamo il modo in cui queste cose sono collegate con noi. Si tratta di esperienze dell’anima nelle quali, in un certo qual modo, ciò che chiamiamo il nostro io ordinario si sente avulso dalla situazione di vita nella quale si trova. Facciamo l’esempio di qualcuno che viene destinato dai suoi genitori ad esercitare una certa professione, ma che senta di voler fare altro. Se ci poniamo in una situazione di questo tipo dobbiamo dirci: eravamo fin lì in una situazione di vita da cui ci siamo tratti fuori da noi stessi con la nostra propria energia, grazie alle nostre simpatie e antipatie. Si tratta di un cambiamento che abbiamo prodotto noi stessi con la nostra propria volontà. Un tale esercizio si può fare ovviamente soltanto riguardo a ciò che è realmente accaduto nella vita. Se qualcuno pensa di aver sbagliato professione solo perché è diventato un navigante, allora non si tratta di un impulso della sua volontà. Ciò vale soltanto per una condizione di vita in cui abbiamo creato una svolta con la nostra volontà. Non prendiamola però come se in caso di tale svolta del destino dovessimo pentirci e ripensarci, tornando indietro tutti contriti alla vecchia condizione di vita. Non si tratta qui del verificarsi di conseguenze pratiche, ma di processi di coscienza. E allora va detto che quando prendiamo coscienza energicamente di quanto ci accade e non diciamo che ci è capitato a caso, ci dedichiamo all’esperienza interiore descritta qui di seguito. Diciamo a noi stessi: mi immagino che quello che io all’epoca non volevo, sia stato invece qualcosa in cui io mi sono imbarcato con le più grandi forze di simpatia. Con ciò si vuole dire che quella cosa la si è voluta con tutte le proprie forze. Proviamo ad immaginarci con tutta l’energia possibile: le cose di cui mi son fatto l’idea che

siano accadute per caso, le penso come causate da me. Un esempio: una pietra si stacca da un muro e mi cade sulla spalla causandomi dolore. Devo immaginare me stesso che salgo sul tetto, allento quella pietra, corro di nuovo giù in strada per far sì che mi cada addosso. La cosa suona grottesca, ma facendo continuamente un tale esercizio ci poniamo nello stato d’animo di chi ha decisamente voluto proprio quello da cui voleva scappare a gambe levate. Naturalmente la cosa non funziona se facciamo questo esercizio solo una, due o anche tre volte. Succede qualcosa solo se lo facciamo sistematicamente. Dobbiamo proprio dipingere con viva immaginazione colui che ha voluto quell’evento dal quale noi volevamo sfuggire. A quel punto faremo una singolare esperienza, e cioè che l’immagine di questa persona non ci lascia più. Ci fa una strana impressione, come di qualcosa che ha profondamente a che fare con noi. E se raggiungiamo un certo grado di finezza nel condurre questo tipo di esercizio, allora scopriremo una somiglianza tra una tale immagine e un ricordo che facciamo scaturire dalla memoria. Un’immagine mnemonica, però, è qualcosa di puramente esteriore, di intellettivo, mentre quello che in questo caso si va ad estrarre dall’anima è intriso di sentimento. Noi viviamo dei sentimenti nei confronti di quell’immagine che noi stessi ci siamo costruiti: il sentimento è quello che conta. Se continuiamo a ripetere questo esercizio l’esperienza insegna che si arriva a riconoscere che l’immagine che ci siamo creati diventa una realtà, come fa pure l’immagine del ricordo. Non si tratta di quello che uno si immagina, ma del processo di trasformazione che si compie. Si tratta all’incirca dello stesso processo che uno compie quando cerca di ricordare un nome. Uno si sforza, si spreme le meningi, dice: «Alberghieri, no, non è quello…». Ad un certo punto spunta come dall’interno verso l’esterno il nome giusto – Alighieri – e si sostituisce a quello sbagliato. Proprio come i nomi si correggono a vicenda, così in questo ricomporre un’immagine, in questo processo di trasformazione abbiamo il sentimento: qui c’è qualcosa che ti appartiene. Hai trovato qualcosa che è dentro di te, ma che non può essere successo nella presente incarnazione. E allora si rivela con interiore chiarezza che questo qualcosa viene da un passato molto lontano. Dobbiamo soltanto capire di avere a che fare con un altro tipo di memoria:

• l’usuale capacità di ricordare si può caratterizzare come un ricordare per rappresentazioni,

• questo secondo tipo di ricordo, invece, è legato a sensazioni, è un ricordare per sentimenti.

Quest’ultimo ha la sua giustificazione se pensiamo che il nostro ricordare ordinario è una capacità rappresentativa tale che vi si può aggiungere anche il sentimento. Così è ad esempio quando riaffiora alla nostra memoria un evento doloroso del passato e si dipinge interiormente in immagini. Noi non sentiamo più il dolore nel ricordo, ne è stato cancellato. Naturalmente vi sono diversi gradi di intensità del ricordo, ma in generale vale quanto ho detto. Da questo riconosciamo che, per la nostra presente incarnazione, la memoria è un ricordare per pure rappresentazioni in cui il sentimento non viene rivissuto nella sua intensità. Quando invece affiorano alla coscienza altri tipi di ricordi, che derivano da sentimenti e impulsi di volontà, questi non si possono affatto paragonare con i precedenti, e quindi dovremmo distinguere nettamente tra questi due modi di ricordare:

• il primo modo di ricordare, che vale solo per la presente incarnazione,

• e il secondo modo di ricordare, che racchiude in sé quello che proviene da precedenti incarnazioni.

Possiamo prendere un qualsiasi esempio per supportare questa tesi. Pensiamo ad un uomo che scriva le sue memorie. Prendiamo, ad esempio, Bismarck e osserviamo cosa accadde quando giunse al punto in cui descrisse la guerra del 1866. Immaginiamoci cosa deve essere vissuto nell’anima di Bismarck quando egli guidava le sorti degli uomini in lotta con un mondo di impulsi di volontà contrari ai suoi, e cosa deve essere accaduto nella sua anima quando egli invece scriveva di questi avvenimenti. Sarà chiaro ad ognuno quale differenza ci sia tra queste due rappresentazioni: quella vissuta il giorno cruciale della guerra, e quella del tempo in cui scriveva le sue memorie. Ognuno potrà notare la differenza da quanto il ricordo è sbiadito rispetto all’esperienza vera. Qui vediamo la grande differenza che c’è tra la rappresentazione per pensieri e la rappresentazione per sentimenti. Coloro che si sono già occupati un po’ di scienza dello spirito capiranno cosa si intende quando si dice che la nostra attività di rappresentazione, quando si svolge in forma di pensieri nella nostra vita dell’anima ed è suscitata unicamente da stimoli provenienti dal mondo esterno, ha valore soltanto per la presente incarnazione. Percepire con i sensi, sperare, provare paura, se tutto questo vive solo nelle nostre rappresentazioni, allora sparirà presto dopo la morte. Appartiene solo a quella singola incarnazione e non ne resta traccia. Abbiamo già detto che le rappresentazioni che durante la vita facciamo nostre nel mondo fisico e che poi esprimiamo attraverso il linguaggio, valgono soltanto per quella singola incarnazione. Di certo vi possono essere oggi molti studenti di liceo classico che hanno vissuto nell’antica Grecia. Non per questo riuscirà loro più facile imparare il greco antico in questa incarnazione. Il destino dell’anima è lo stesso sia riguardo alla lingua, sia riguardo alle rappresentazioni. Il linguaggio è un’espressione della vita di rappresentazione e tutte le rappresentazioni che vivono in noi si riferiscono al mondo fisico. Persino le rappresentazioni sul mondo sovrasensibile sono colorate dalle impressioni attinte dal mondo fisico e dalle rappresentazioni di questa vita. Dobbiamo guardare alla realtà oltre questa veste, solo così potremo fare progressi su questa strada. Dopo la morte non ci formiamo più rappresentazioni, ma le “vediamo”, esse diventano percezioni come lo sono i colori e i suoni nel mondo fisico. I colori rosso, blu e verde l’uomo non li può vedere come nel mondo fisico, ma quello che nel mondo fisico egli si rappresenta in forma di concetti, quello che può essere “visto” durante l’esistenza fisica soltanto attraverso il velo della rappresentazione, tutto questo nei mondi spirituali compare davanti a noi senza veli. Le immagini hanno là una vita senza corpo. Il materialista considera reali le immagini del mondo fisico. Tutto ciò che i sensi ci possono dare appartiene al mondo fisico. Ma tutto ciò che facciamo nostro attraverso concetti che elaborano il mondo esteriore e quanto è materiale, è per le incarnazioni future. Dobbiamo curare l’uomo dal fatto che ciò che egli considera come meri concetti sia solo per la vita fisica. In realtà vi è qualcos’altro dietro, come ci mostra il banale esempio del lupo che rimane essenzialmente un lupo anche dopo aver mangiato a lungo soltanto agnelli. È evidente: ciò che il concetto intesse a partire dal mondo esteriore è la realtà. La forma del concetto muore quando attraversiamo la soglia della morte, ma ciò che è in esso, ciò che di esso vive in noi, questo sarà poi da noi percepito. Il contenuto rimane, soltanto il modo, il carattere della rappresentazione scompare. Nessuno deve pensare che l’uomo resti dopo la morte senza il contenuto delle rappresentazioni, questo va oltre la coscienza. Il modo in cui abbiamo elaborato le nostre rappresentazioni, invece, ha un significato solo per il mondo fisico. A partire da questa coscienza Hebbel scrisse una volta nel suo diario lo schizzo per un dramma: uno studente di liceo classico, che è la reincarnazione di Platone, non capisce quasi nulla di Platone – ad indicare che l’edificio di pensiero che è vissuto in Platone non trapassa nelle sue nuove incarnazioni. Per formare dei pensieri assennati su questo tema bisogna osservare la propria vita interiore e domandarsi: cosa portiamo con noi come contenuti della nostra vita dell’anima?

  1. Le rappresentazioni – Queste portano senz’altro a sentimenti e a impulsi di volontà, ma questo non esclude che si possa parlare di una vita delle rappresentazioni a sé stante nella nostra anima. Certamente ci sono delle persone che quando hanno delle rappresentazioni si infiammano subito violentemente, però si può nettamente distinguere la vita della rappresentazione dalla vita del sentimento.

  1. I contenuti di sentimento: si presentano nelle forme più varie, nella polarità tra simpatia e antipatia, tra amore e odio. Poi ci sono sentimenti che possiamo intendere come eccitazioni, che generano tensione e poi rilassamento. Questi non li dobbiamo confondere con la simpatia e l’antipatia, la tensione è qualcosa di diverso. Bisognerebbe parlare molto a lungo se si volessero elencare tutti i generi possibili di sentimento. Ad esempio i sentimenti per il bello e il brutto, oppure per il buono e il cattivo, sono categorie speciali di sentimento nella vita dell’anima. Abbiamo una tonalità di sentimento diversa di fronte alla polarità bene-male rispetto a quella che abbiamo nei confronti della polarità antipatia-simpatia. E così via.

  2. Gli impulsi di volontà, i vari tipi di volizione. Non dobbiamo confondere la nostra vita di sentimento che rimane chiusa entro l’anima con la vita che si esplica in un impulso di volontà. Un sentimento vissuto nei confronti del bene e del male può rimanere una mera esperienza di sentimento. Ma può esprimere anche di più, e allora diventa qualcos’altro. Si dovrebbe distinguere tra ciò che si avverte come buono o cattivo in altri e ciò verso cui ci si sente spinti nella propria anima. Va cioè distinto tra sentimenti e impulsi di volontà, sebbene tra queste due realtà vi siano diverse gradazioni. Così come esistono persone che sono solo sbattute tra un sentimento e l’altro nella loro vita interiore, esistono anche persone che non riescono a trattenersi dal passare all’azione. Appena vedono qualcosa vogliono subito trasformarlo in azione. Così nasce quel fenomeno chiamato “cleptomania” (il rubare compulsivo). In tal caso manca il giusto rapporto tra vita di rappresentazione, vita di sentimento e vita di volontà. La nostra vita scorre nel passare da rappresentazioni a moti di sentimento e a impulsi di volontà. La vita di rappresentazione è legata alla singola incarnazione che si svolge tra nascita e morte, ma non è così per la vita di sentimento e per quella di volontà. Chi volesse sostenere il contrario si sbaglierebbe. Vediamo ad esempio nello sviluppo del bambino, come da piccolo sia ancora del tutto ovattato nella sua vita di rappresentazione, e come invece manifesti già in modo chiaro simpatia o antipatia per quanto riguarda i suoi sentimenti e i suoi impulsi di volontà. Schopenhauer disse che il carattere rimane, e che non si cambia durante il corso della vita. Ma questo non è vero, il carattere può essere trasformato profondamente. Il nostro carattere di fondo non si comporta come le nostre rappresentazioni. Entriamo in una incarnazione con una determinata configurazione dei nostri impulsi di sentimento e di volontà che ci siamo portati con noi da precedenti incarnazioni – e possiamo già intuire che effettivamente li abbiamo portati noi. Ma consideriamo ciò che è stato detto sulla memoria legata al sentimento e su quella legata alla rappresentazione. Tutto ciò che sviluppiamo nelle nostre rappresentazioni non può suscitare in noi l’impressione che dice: tu hai qualcosa in te che era lì già prima della tua nascita. Come facciamo allora a ricordare le nostre vite precedenti? Abbiamo già detto espressamente che non dobbiamo rimanere fermi alla rappresentazione, ma dobbiamo figurarci una persona che abbia sentito e voluto tutto quello che ci è accaduto. Si tratta quindi di un immedesimarsi in tutt’altre forze animiche, di un modo ben preciso di andare indietro con la memoria. In ogni nostra attività esprimiamo un contenuto interiore basato sul desiderio e sulla volontà che si spiega a partire dalla vita della nostra anima. Questo è stato sempre noto in tutte le scuole occulte. Dobbiamo aver chiaro il fatto che a partire da un particolare contenuto della nostra vita di sentimento e di volontà noi sviluppiamo qualcosa che è simile alla rappresentazione, ma che non si limita ad essa. E poco a poco questo ci conduce oltre la singola vita che si esplica tra nascita e morte. Si deve sottolineare che il cammino qui delineato è un cammino sano e assolutamente sicuro, ma che comporta anche non poche rinunce. Ci si può più facilmente immaginare di essere stati chissà chi, magari Maria Antonietta di Francia, per esempio, oppure Federico il Grande. Però, se attraverso il cammino su descritto arriviamo a formarci un’immagine, nella maggior parte dei casi resteremo delusi. Possiamo illuderci in molti modi. Occorre quindi saper distinguere la realtà dalla fantasia. In una città del sud della Germania è stato detto in risposta ad una domanda: tutto nella teosofia poggia sulla suggestione. Perché allora non potrebbe essere vero quello che mi dipingo davanti all’anima con la dovuta vividezza? Proprio come qualcuno che pensando fortemente ad una limonata senta quasi di gustarla, così potrebbe accadere anche con delle rappresentazioni spirituali. Certo, un teosofo può sollevare quest’obiezione, ma la vita lo contraddice. Il teosofo in questione non ha in realtà saputo pensare la cosa fino in fondo. Non ho ancora mai sentito di qualcuno che si sia dissetato semplicemente pensando a una limonata. Con questo tipo di esperienza dobbiamo arrivare fino in fondo. Ci si può appunto dissetare veramente solo nella vita concreta. Allora si presenta necessariamente la rappresentazione del ricordo in modo tale che possiamo dire a noi stessi: qui hai sperimentato veramente qualcosa, e non te la sei solo immaginata. Ciò che ti emerge dalle profondità dell’anima attraverso questa esperienza è l’immagine di una vita passata. In teoria la cosa non si può né confutare né dimostrare, si tratta unicamente di una serie di indizi. Soltanto attraverso un attento sviluppo animico possiamo formarci una sana certezza di come una nostra vita precedente possa rilucere in quella attuale, in modo tale che quando viviamo certe esperienze si formi in noi la certezza: questo l’ho già vissuto. Ci sono però anche altre esperienze nella nostra vita delle quali non possiamo dire che siano un ricordo, perché la nostra vita precedente non ce le mostra come realmente sono. Oggi vi citerò solo un esempio tipico, ma esperienze come queste se ne possono fare in realtà a migliaia. Un uomo va a passeggiare in una foresta ma si dimentica, poiché è assorto nei suoi pensieri, che sta percorrendo un sentiero sul ciglio di un profondo precipizio. Senza pensare al precipizio egli vede qualcosa che attira enormemente la sua attenzione e si dedica interamente ad osservarla. Con un salto si avvicina a questa cosa – altri due passi e sarebbe caduto nel precipizio. Nel momento in cui sta per riprendere il cammino sente una voce che lo chiama. Si ferma di colpo come inchiodato e pensa che sia qualcuno che si preoccupa per lui. Si guarda intorno, ma non vede nessuno. Il materialista dirà che è stato un colpo di fortuna, un’allucinazione uditiva. Ma è anche possibile pensarla diversamente. Oggi vorrei solo aggiungere che quanto sto per dirvi è per me un fatto accertato. Attraverso fatti che si svolgono nel mondo spirituale si è verificata qui una crisi karmica: tu hai ricevuto la tua vita come un nuovo regalo, e la devi a quelle potenze che sono all’opera dietro il mondo fisico. Un’esperienza di questo tipo la possono fare molti uomini d’oggi, si presenta nella vita di molti, ma spesso le persone non vi prestano la dovuta attenzione e ci passano sopra. È ormai un fatto assodato che gli uomini spesso non vedono nemmeno ciò che quotidianamente si svolge attorno a loro. (Esempio del sensibile ispettore scolastico che durante l’ispezione condotta su vecchi insegnanti deve constatare che questi sono i primi a non sapere quel che vanno insegnando ai ragazzi ogni giorno.)

    1. Spesso accade una cosa simile, e quello che ho citato è proprio un caso tipico, ma soltanto se ci si osserva in modo scrupoloso lo si scopre.

2. La trascrizione dallo stenogramma mostra in questo punto per mezzo delle parentesi che il testo al loro interno è, in via eccezionale, un riassunto di quanto effettivamente detto da Rudolf Steiner. È possibile che anche il redattore del testo dell’O.O. non abbia avuto nient’altro a disposizione se non questo appunto tra parentesi. E qui possiamo parlare di una sorta di religiosità di vita che scaturisce da un sentimento che possiamo ritenere buono: che uno debba impiegare in modo particolarmente buono questa nuova vita che gli è stata donata. Questa crisi karmica può dire ad una persona: ti è stata data per grazia una seconda vita, poiché la prima si era esaurita. Allora a quella persona accade qualcosa che uno può vivere in modo da sentire: questo avvenimento non è qualcosa che ho vissuto in incarnazioni precedenti. Oggi ho solo voluto accennare a questo, in seguito coglierò l’occasione per dire qualcosa di più preciso sull’argomento. Quello a cui ho sopra accennato è il modo in cui un grande iniziato dei nostri tempi chiama coloro che egli vuole iniziare. La voce che si sente come in quell’evento non è un’allucinazione, non è un “caso”, come afferma la cultura contemporanea. Christian Rosenkreutz parla in questo modo quando sceglie i suoi, è così che la sua chiamata arriva ai suoi discepoli. Questo è il modo speciale di entrare in rapporto con lui, che dal XIII secolo viene dato agli uomini incarnati sul piano fisico. Un essere umano che vive una simile esperienza trova una pietra miliare sul suo cammino, un segno dal quale capisce che egli dovrà entrare in rapporto con il mondo spirituale e inserirsi nella corrente della scienza dello spirito. Chi non risponde a questa chiamata nella presente incarnazione, riceverà una possibilità di capire nella seguente con altri mezzi, poiché le forze dell’anima non restano ferme, ma si evolvono continuamente. Così ha agito questo grande iniziato nei confronti dei suoi discepoli, e ha destinato la persona che ha accolto la sua chiamata ad appartenere a lui. E così un tale avvenimento nella propria vita veniva descritto come un venire iniziati. Tra la morte e una nuova nascita avremo delle esperienze animiche ancor più importanti di quelle avute tra nascita e morte. In molti casi si constata che certi uomini erano già stati chiamati a questa iniziazione nell’incarnazione precedente. Ma la maggior parte degli uomini vengono chiamati tra la morte e una nuova nascita. Dico questo non per suscitare scalpore e neanche per evocare un tale evento, ma solo per richiamarvi la vostra attenzione. So per esperienza che le cose dette soltanto una volta si dimenticano facilmente. Per questo motivo ripeto le cose essenziali almeno un paio di volte. È per questo che spesso devo ripetermi. Molti uomini sono passati per questa esperienza, hanno vissuto questo avvenimento. Non si tratta di non averlo vissuto, ma di non avervi rivolto la giusta attenzione. Lo dico per dare conforto a quanti potrebbero dire a se stessi: io non ho vissuto un’esperienza così, a me non è dato viverla. Nessuno deve sentirsi depresso per questo, ma anzi proprio stimolato a pensare in questa direzione. Queste cose non vengono raccontate per suscitare sensazionalismi, ma per richiamare incessantemente l’attenzione sul fatto che la nostra anima deve trovare una relazione con i mondi spirituali che sia concreta, non astratta, e sul fatto che non dobbiamo limitarci ad osservare queste cose, dovremmo invece trarne forza per vivere la vita in modo da non osservare semplicemente le singole cose, ma facendo attenzione anche ai loro nessi. Non è solo il pensiero e ciò che ci dicono i sensi che conta, si tratta di vivere queste cose in modo tale che ci dicano: così sei concretamente immerso nella vita. Le visioni teoriche del mondo si differenziano dalla visione della scienza dello spirito per il fatto che quest’ultima ci mostra come ciascuno di noi stia individualmente in rapporto coi mondi spirituali, e quale sia il suo modo di appartenere allo spirituale del macrocosmo.

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