Terza Conferenza – Capire il Karma di Rudolf Steiner

Terza conferenza

il sentimento-ricordo dell’uomo che è nascosto in noi

Stoccarda, 20 febbraio 1912

Miei cari amici! È importante il distinguere avvenimenti dei più diversi tipi entro la nostra vita. Nelle nostre facoltà, talenti e così via abbiamo qualcosa grazie a cui possiamo dire: in virtù di questo è chiaro che abbiamo successo nell’una o tal’altra attività. Anche la mancata riuscita di qualcosa ce la possiamo spiegare spesso sulla base dell’intero contesto della nostra essenza interiore. In tali casi troviamo un nesso causale per quanto è avvenuto. Ma per molte cose della vita non lo possiamo fare: la relazione tra colpa o merito rispetto a quanto è accaduto rimane oscura. Questi due tipi di eventi vanno dunque ben distinti fra loro. Il secondo gruppo, quello di quanto sembra accadere “per caso”, lo esamineremo in seguito. Guardiamo ora al nostro destino esteriore. Troveremo anche lì due tipi di avvenimenti. Per certi avvenimenti che ci capitano ci è chiaro che siamo stati noi stessi a causarli. Ma nell’altro tipo di avvenimenti esteriori non riusciremo a tutta prima a riconoscere che hanno a che fare con ciò che noi stessi ci siamo riproposti. Ora vogliamo fare quanto segue:

• in relazione alla nostra vita interiore vogliamo osservare gli avvenimenti di cui non riusciamo a riconoscere che hanno a che fare con le nostre capacità, e

• in relazione alla nostra vita esteriore vogliamo prendere in considerazione gli avvenimenti che sembrano puramente casuali.

Con questi due gruppi di eventi si può fare una sorta di esperimento. Ci immaginiamo un uomo fittizio che doteremo di tutte quelle qualità e capacità che portano a un insuccesso – qualità e capacità che non possiamo ritenere che conducano al fallimento a partire dal nostro interno. E così, come abbiamo detto spesso, ci dobbiamo immaginare anche avvenimenti tipo quello di una tegola che cade dal tetto ferendoci una spalla. Questo sembra solo un gioco mentale, ma si tratta in realtà di pensieri che ci vengono in aiuto perché riconosciamo chi siamo. Allora ci verrà fatto di capire: quell’uomo fittizio che ci siamo immaginati lavora in noi come un pensiero con cui ci arrovelliamo, come ciò che si presenta in noi quando vogliamo fare chiarezza sulla nostra vita. E allora noteremo che quest’uomo fittizio, frutto del nostro pensiero, crea vita. Ci assale in modo tale da dirci: tutto questo ha a che fare con qualcos’altro, con un’altra esistenza terrena, deve essere sentito come una precedente incarnazione sulla Terra. E allora arriviamo ad un ampliamento della nostra memoria: la prima cosa che si presenta di un’incarnazione passata è un sentimento-ricordo, o memoria dell’anima. Quell’uomo immaginato è uno strumento che ci permette di ricordare. Poi si trasforma in un uomo di sentimento o di anima. Questa è un’impressione particolarmente vivida quale sentimento di una precedente incarnazione: è una via di mezzo tra un sentimento dolce e uno amaro-acido. E allora si può giungere a una specie di immediata certezza di essere vissuti in una precedente incarnazione. Una cosa simile non si può dimostrare, ma ci sono anche altre esperienze che conducono alla sensazione di aver già vissuto altre vite. Prendiamo di nuovo due gruppi di eventi:

• nel primo gruppo ci sono i dolori, le sofferenze e gli ostacoli della vita;

• nell’altro ci sono i successi, le gioie e i piaceri.

Le esperienze del primo gruppo ce le siamo attirate da noi: attraverso qualcosa che abbiamo fatto siamo diventati meno perfetti, ad esempio se abbiamo causato un dolore o un danno a qualcuno. La personalità complessiva varrebbe di più se non lo avessimo fatto. Allora dobbiamo inserire nel mondo un’azione compensatrice. Ogni dolore ci rimanda al fatto che abbiamo dentro di noi un uomo più saggio di noi stessi che è sopito nei recessi della nostra anima. Questo uomo più saggio che è in noi vuole quel dolore. Ci guida verso avvenimenti difficili e invisi per farci crescere oltre. Il secondo gruppo, quello dei piaceri, delle gioie e dei successi racchiude cose che non ci siamo meritate, ma che sono una grazia donataci da potenze spirituali benevole. Pensare in questo modo, spesso, è come ingoiare una pillola amara. Di nuovo emerge qui un sentimento di fondo: c’è qualcosa di più profondo in te di quanto hai vissuto in questa vita. Dietro la nostra coscienza ordinaria c’è la nostra individualità spirituale, la nostra essenza. C’è anche un terzo tipo di esperienze. A trent’anni ci ritroviamo insieme ad altri uomini nel mondo esterno. Le relazioni esistenziali che abbiamo a quell’epoca ci paiono create da noi nel momento di massima maturità, come se fossimo stati più che mai presenti in quanto esseri umani in quello che facevamo. Ma alla ricerca spirituale si mostra quanto segue – questo non deriva dalla logica, ma viene attinto dalle fonti della ricerca spirituale. Pensiamo a quanto abbiamo appreso sul liberarsi dei vari arti della costituzione umana di settennio in settennio. Dai 21 ai 28 anni si sviluppa l’anima senziente, dai 28 ai 35 l’anima razionale o affettiva, e poi l’anima cosciente. Nei nostri trent’anni abbiamo a che fare con lo sviluppo dell’anima razionale e di quella cosciente. Si tratta di quelle forze nella natura umana che ci fanno maggiormente interagire con il mondo fisico esterno. Nei primi anni dell’infanzia le nostre forze vengono usate per edificare il corpo fisico, dirette da quello che giace ancora racchiuso entro la nostra interiorità, e che portiamo con noi dalle vite precedenti. Il lavoro di costruzione va attenuandosi sempre più fino al punto in cui le forze del passato hanno completato la formazione del corpo fisico. Intorno al trentesimo anno di età, può essere un po’ prima o un po’ dopo, ci confrontiamo con il mondo “nel modo più fisico”, quello è il momento della nostra vita in cui siamo più affini al mondo fisico. Le relazioni che andiamo allacciando in quel periodo hanno a che fare in questa vita meno di tutto con quello che è all’opera in noi, nella nostra interiorità, dal momento della nostra nascita. Nonostante ciò non è affatto un puro caso che veniamo in contatto proprio con queste persone, è il nostro karma che sta operando in tutto questo. In questi incontri abbiamo a che fare con il karma della nostra precedente incarnazione. In molti casi le individualità con le quali veniamo in contatto attorno al trentesimo anno sono vissute accanto a noi all’inizio della nostra precedente incarnazione, o di quella ancora precedente, nella veste di genitori o fratelli e sorelle. Non ritroviamo i genitori di una precedente incarnazione durante l’infanzia della nuova incarnazione, ma nel momento in cui ci troviamo più fortemente inseriti entro il mondo fisico. Non sempre però è così, può anche essere il contrario: coloro che ci troviamo a conoscere quando abbiamo trent’anni nella presente incarnazione possono anche diventare nostri parenti in una vita successiva. Si tratta di questo: quelle persone che meno di tutte ci andiamo a scegliere, i nostri genitori o i fratelli e le sorelle, in una vita precedente sono state scelte da noi liberamente intorno ai trent’anni. Nel susseguirsi delle varie incarnazioni non ci si ritrova sempre con le stesse persone nello stesso tipo di rapporti. Non entriamo neanche in rapporto con loro sempre alla stessa età. La metà della vita dell’incarnazione in corso corrisponde all’inizio, o a volte alla fine, della precedente:

• le persone che nella precedente incarnazione erano con noi all’inizio della nostra vita, nella presente incarnazione le ritroviamo nel mezzo della nostra vita;

• coloro che ora sono i nostri genitori o fratelli e sorelle, prima sono stati insieme con noi come compagni liberamente scelti.

Possiamo ora chiederci: perché attorno alla metà della nostra vita ci sentiamo spinti a imbastire con delle persone dei rapporti che sembrano arbitrari o del tutto soggettivi? Questo deriva dal fatto che abbiamo già avuto a che fare con queste persone nella vita precedente, quando esse sono state i nostri genitori o nostri fratelli o sorelle. Se analizziamo bene tutto questo e se ci riesce anche solo una volta di colpire nel segno, ossia che questa o quella persona l’abbiamo già davvero incontrata in un’altra vita, allora avremo un criterio che sempre più spesso ci condurrà alla giusta valutazione.

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