LA VIA FLAMINIA E LE ORIGINI – PERCORSO STORICO FINO A PRIMA PORTA

Era costume degli antichi Romani costruire le sepolture presso le loro ville e a preferenza presso i margini della strada che fosse stata vicina. Perciò, l’avere ritrovato la sepoltura dei Nasoni discendenti di Ovidio sulla Flaminia, fa supporre che quivi fossero gli orti che a loro appartenevano.

Per la suddetta valle del Vescovo passava la via Claudia o Clodia che poco dopo ponte Molle s’intersecava con la Cassia formando un incrocio che fu detto Croce di Monte Mario. In questo punto, in memoria della Croce che apparve a Costantino, nel 1470 i Signori Mario e Pietro Mellini fecero innalzare una croce all’uso dei Cristiani con una iscrizione che riporta il Torrigio nel suo volume <<Grotte Vaticane>>. Fu in questo incrocio che Pasquale II, come racconta Leone Ostiense, mandò la corte incontro all’Imperatore Enrico V ; fu qui che l’esercito di Borbone, per espugnare Castel S. Angelo, collocò l’artiglieria fra cui un cannone ottagonale, ad uso di pietrera, del peso di 2395 libbre, chiamato la Spinosa, per la testa di questo animale che vi era scolpita. Tale cannone fu tolto all’esercito e collocato nel maschio del Castello stesso.

VEIO – FIDENE – MONTE OLIVIERO

Poco dopo Grotta Rossa la via Flaminia attraversa il fosso di Valchetta, l’antico Cremera che ci ricorda l’eccidio dei Fabi:

O Villagloria da Cremera, quando

La luna i colli ammanta,

A te vengono i Fabi, ed ammirando

Parlan de’ tuoi settanta.

(CARDUCCI: In morte di G. Cairoli)

Risalendo il corso del Cremera si può giungere nella località dove alcune rovine indicano il luogo in cui sorgeva l’antica Veio.

Tra il Cremera e i “Sassi rossi” i Veienti subirono una grave sconfitta. Ecco ciò che narrano in proposito Livio e Dionisio.

Narra Livio che i Veienti, con l’aiuto dei Toscani, stavano presso il Cremera all’espugnazione dei Fabi

Dune et Veientes accito ex Etruria esercitu praesidium Cremerae oppugnant

e Dionisio : – Veientes cum domesticis viribus Castellum illud excindere non possent

Il Console L. Emilio trova l’esercito toscano schierato avanti le mura della città di Veio (come dice Dionisio: exercitum ante ipsam urbem nactus) e sanz’altro attacca battaglia e lo pone in rotta. I Veienti, disfatti, si ritirano agli stecconati dei “Sassi rossi” ma anche qui raggiunti e attaccati a fondo dai Romani, né potendo resistere, fuggono parte in città e parte sui monti.

Livio: – Retrofusi a Saxa Rubra, ibi enim castra habebant –

Dionisio: – Nec amplius acies hosti ptuit resistere; sed castris potitur – e presi gli stecconati – partim in Urbem, partim in proximus montes fugerunt – .

A circa un chilometro e mezzo dal fosso della Valchetta trovasi l’antica osteria della Celsa il cui nome deriva forse dalla famiglia Celsi che aveva qualche fondo in quei pressi o da qualche grosso albero di gelso che forse vi esisteva una volta.

Nei pressi dell’osteria della Celsa il Tevere forma un gomito molto pronunciato tanto da avvicinarsi fin quasi la strada, nell’interno di detto gomito, e quindi sulla sinistra del fiume sorge un colle isolato chiamato Castel Giubileo, sul luogo stesso, o in quei pressi esisteva l’antica Fidenae, città di origine etrusca. Di questa città oggi non si rinviene più alcun vestigio. Si sa che Romolo occupò buona parte del suo territorio; fu Tullo Ostilio che s’impadronì della città fondatovi una colonia di romani. In seguito i Fidenati si ribellarono a Roma e dopo varie lotte e vicende il dittatore Emilio Mamerco s’impadronì della città, la distrusse e vendette i cittadini all’incanto. Fu ricostruita Fidenae sotto l’Imperatore Tiberio ma nelle scorrerie dei Galli fu nuovamente distrutta e non risorse mai più. A circa un chilometro più innanzi dell’ osteria della Celsa le più antiche osterie della campagna romana. In questa borgata era l’antica stazione a Saxa Rubra, posta 9 miglia lontano da Roma. Presso Prima Porta, sulla sinistra da chi viene da Roma, si biforcava la strada selciata che conduceva alla città di Rubra o Lubra. Presso questo bivio avvenne il supplizio dei Santi Abbundio et Abbundiato come più avanti racconteremo. Tra l’osteria della Celsa e Prima Porta, sulla destra del Tevere, a sinistra da chi venendo da Roma percorre la via Flaminia, vi è Monte Oliviero o, come dicevamo un tempo Monte Livieri. Alcuni pretesero che quivi fosse esistita la Villa Livia; ma l’essere stata in questo ruolo rinvenuta nel 1671 la statua di Lucio Vero con la relativa iscrizione, ci induce ad ammettere che in questo luogo esisteva la Villa di Lucio Vero da cui derivò il nome corrotto di Livieri. Giulio Capitolino parla di questa villa concludendo che Lucio Vero vi andava a trattare cause e liti; però la colloca presso la via Clodia, più presso Ponte Molle.

<<Villam praeteria extructis in Via Clodia formisissimam, in qua per multos dies, et ipse ingenti luxuria debaccattus est, et Marcum rogavit, et quinque in eadem villa residence cognitionibus continuis operam dedit.>>

VILLA LIVIA

La Villa Livia invece era presso Prima Porta ove tuttora se ne possono osservare le importanti rovine sopra un colle incuneato tra la Flaminia e la via Tiberina che si stacca a destra conduce a Fiano, Nazzano e Ponzano. Dal detto punto della Flaminia staccavasi anche la via che per Veio raggiungeva la Cassia. Perciò era un nodo stradale importantissimo e strategico infatti fu qui che sostarono le milizie di Vespasiano che marciavano contro Vitellio, e fu in questi pressi che avvenne la sanguinosa fra Costantino e Massenzio. In questo punto di incrocio delle tre importanti strade esisteva un arco monumentale con un giano quadrifronte eretto ad Augusto che restaurò la via Flaminia. Dall’esistenza di quest’arco forse derivò il nome di Prima Porta. Presso quest’arco fu eretta una Chiesa dedicata a S. Nicolò da cui il borgo prese il nome e ricordato nell’inventario dei beni fra S. Eustacchio e il monastero di S. Paolo – Burgus S. Nicolai, Decus Virginis, da una vaga immagine della B. Vergine dipinta col Santo. La chiesa fu poi abbandonata e ridotta ad osteria. La Villa Livia fu fatta costruire da Livia Augusta sui fondi paterni ed era chiamata Villa Vicentina perchè situata nel territorio di Veio. In seguito fu detta <<Villa Caesarum>> ed anche <<Gallinas Albas>>.

Una località vicina è chiamata Frassineto perchè pare vi fosse un bosco di frassini che serviva per ornamento e delizia della villa.

Nelle sue rovine nel 1863 fu rinvenuta la statua di Augusto deificato conservasi nel museo Vaticano.

In seguito furono fatti altri scavi e vennero alla luca alcune camere riccamente decorate, anzi una conserva degli affreschi raffiguranti piante, uccelli, fiori riprodotti con molta accuratezza.

Queste camere costruivano forse il pian terreno della villa imperiale. Assai curiosa è la storia, o meglio la leggenda, per cui la villa prese il nome << Ad Gallinas Albas >> e raccontata da Svetonio,da Plinio e da Dione Cassio. Mentre Livia Augusta s’intratteneva a diporto nei pressi della villa, un’aquila, passando in volo, lasciò cadere ai suoi piedi una gallina bianca che recava nel becco un ramoscello di lauro con le relative bacche. L’Augusta donna interpretò il fatto come buon augurio e diede ordine che la gallina fosse allevata e che i figli mai si uccidessero. Gli Aruspici allevarono questi polli discendenti della gallina bianca in un vicolo dell’Alta Semita, tra Porta Pia e il Quirinale, che perciò fu detto Vicus ad Gallina Albas. Le bacche del ramoscello furono seminate sul Campidoglio e ne derivò un bosco Laureto dal qualse si toglievano i rami che servivano per incoronare gli Imperatori nell’occasione dei Trionfi tanto la razza della gallina bianca sparirono dopo la morte dell’ultimo discendente degli Augusti. Per completare la curiosità del fatto aggiungiamo che dal rispetto che si ebbe verso i polli discendenti dalla gallina bianca nacque il detto proverbiale:Sei figlio della gallina bianca! << Gallinae filius albae >> che diciamo quando vogliamo significare che un individuo è fra gli altri privilegiato.

CENTOCELLE

  1. Ed ora riprendiamo il nostro cammino sulla Flaminia. Andando sempre verso Castelnuovo, dopo Prima Porta, e poco prima di giungere al bivio che forma la Flaminia con la strada che conduce a Sacrofano, sulla destra, trovasi un rudero che vien detto: Centocelle. Era forse un tribunale di centunviri, cioè di cento Giudici, oppure il Tribunale del Centumviro suburbicarioche vi si portava per definire le litiche si verificavano di tanto in tanto nelle colonie. L’edificio è rotondo alla base, ma elevandosi prende un aspetto piramidale; è diviso in diciassette scompartimenti con in mezzo un ampio sferico terminante superiormente con una apertura circolare aguisa del Pantheon. Potevano queste celle fare ufficio di ergastoli in cui i rei, condannati, venivano rinchiusi dai Decurioni. I Decurioni avevano ognuno sotto di sé dieci codalla suddetta diramazione s’incontra un casale chiamato L’osteriola, situato presso il margine della macchia della Quartarella. In questo punto la ferrovia elettriva che in sede propria corre sempre sulla destra della Flaminia, con un cavalcavia passa sulla sinistra. Dopo L’Osteriola la Flaminia sale ancora più, specie presso Valle Palombella che trovasi sulla sinistra, a piedi del colle Francalancia. In questi pressi, tra il 1100 e il 1200 esisteva un sontuoso palazzo che apparteneva a Gianni Roncioni. Fratello di Giovanni Berardo Roncioni che erano in quell’epoca Signori di Riano. Di tale palazzo non si trovano più che scarse vestigia. Fra le sue rovine, verso il 1600, fu rinvenuto un magnifico vaso di alabastro.
  2. La Flaminia continuava ancora a salire, fiancheggiata ora da uliveti e a poco più di un chilometro dalla valle Palombella, e ventisette da Roma, attraversa la graziosa borgata dei villini di Castelnuovo di Porto, raggiungendo presso la stazione della ferrovia elettrica Roma-Viterbo, la quota di metri 282, la più alta nella provincia di Roma. Da quel panorama meraviglioso: mentre tutto intorno ci vediamo circondati da un terreno ondulato, dapprima ricoperto del sempre verde ulivo e poi quasi deserta sul quale spiccano rare oasi, e il vewrde cupo di qualche bosco e il biancheggiare di qualche casa colonica, verso nord si eleva solenne, severo e maestoso il Soratte solitario; alla sinistra del Soratte, verso ponente, quasi sempre avvolto in un azzurrognolo velame, il gruppo dei Cimini mentre alla sua destra e nello sfondo del quadro, si allineano a guisa di ampio semicerchio i contrafforti dell’Appenino fra le cui cime fanno capolino le vette del Terminillo, del Velino e del Gran Sasso. Sul versante di questo ampio arco di monte che ci sta dinnanzi, vediamo dei gradanti verso il piano i Colli Sabini col biancheggiare di spessi villaggi e col verde dei vigneti, e più in basso vaghi giri del Tevere che solenne corre fecondando il piano. Ma lo sguardo non mai sazio di ammirare si solleva ancora dal piano s’addentra fra i monti tiburtini e prenestini che si perdono nel lontano orizzonte e poii si posano sul gruppo dei colli laziali sormontati da Monte Cavo, poi… il piano immenso, sterminato che si allontana e quasi evanescente si confonde col puro azzurro sul quale si profila dominata dalla michelangiolesca Cupola, Roma Madre.

CASTELNUOVO DI PORTO

Lasciamo la Flaminia con le sue volute, ora più ora meno ampie, continui a correre fra i colli verdeggianti dirigendosi verso Nord. Siamo giunti alla nostra meta e ci fermiamo.

Ecco quanto scrive a proposito di Castelnuovo Carlo Bartolomeo Piazza, della Congregazione degli Oblati di Milano, il suo libro La Gerarchia Cardinalizia stampato a Roma nella stamperia del Bernabò l’anno MDCCIII.

IL BEL PAESE

<<Il più civile e popolato Castello dell’Agro Romano e della Diocesi Portuense senza dubbio Castelnuovo; sostituito per le rovine dell’antica città di Porto, per la residenza diocesana dei Vescovi dei quali quivi più volte tennero ordinazione, celebrarono Sinodi, e vi fecere molte funzioni Vescovili; Capo e Metropoli altre volte de’ popoli Capenati (direbbe il Cluerio anche dei Veienti) a cui dare il vantaggio della prerogativa sopra tutti gli altri villaggi, Terre o Castelli, l’amenità del sito, in un colle assai eminente al Territorio che gli soggiace d’intorno; la fertilità del terreno di vino, grano ed olio; l’industria degli abitanti la civiltà del Castello cinto di mura e munito di Torri; il comodo dellavia Flaminia celebre fino nei tempi dei romani antichi come accenna Tacito nel libro secondo delle sue Istorie; il continuo passaggio dei viandanti che vengono dalla Germania, Polonia, Francia, dal Settentrione, dalla Lombardia, Toscana, Roma; e la vicinzìanza delle medesima Reggia del Mondo, discosta non più di miglia 18; il luogo, per le grosse e numerose osterie che vi sono, di alloggio delle Nazioni di quasi tutto l’Oriente e l’Occidente ecc.>> fu chiamato Castelnuovo, dice Antonio Degli Effetti, per essre stato fatto dalle rovine delle cinque colonie che formavano l’antica città di Pentapoli della quale fu Vescovo S. Tolomeo, discepolo di San Pietro. Ecco a riguardo le notizie storiche. Venuto San Pietro a Roma inviò il suo discepolo Tolomeo Vescovo a Pentapoli e Romano Vescovo a Nepi a seminar la fede nella Toscana Cisciminia. I Veienti ebbero ad imitazione della duotetrarchia universale dei toscani, dodici colonie di città; sette di queste situate nel piano presso il Tevere e alle Saline che formavano sette parti del loro territorio che dovettero cedere a Romolo nel Patto di Pace che da Plutarco, Livio e Dimisio fu detto il Settipagio. Le altre cinque lasciate loro dai romani formavano il quinquepagio che in greco dicesi Pentapoli e in latino Collina a guisa della Collina di Roma che, come Varrone, era cosidetta perchè comprendeva cinque colli: Viminale, Quirinale, Salutare, Muziale e Laziare. La Reggia, o Metropoli fu Veio che però, secondo Frontino, essendo stata debellata fu ridotta a colonia, Penatpoli era situata a Belmonte, vicino Castelnuovo, come notano il Cluerio, Mercurio Italico e geografi più versati che la facevano diciotto miglia da Roma. La città di Belmonte ebbe diversi nomi; fu chiamata Città della Collina, Città delle Colonie, Città delle Castella, Città Vehentana, Pentapoli ein ultimo Castelnuovo edificato, come vuole Strapone, dai romani, Cumhi fidenas, et Veios saepe rebellantes uppressissent.

Fanno menzione della città collina e delle colonie la costituzione 211 del Bollario Cassinense e la 143 e quella di Celestino III nella conferma dei beni al Monastero di Campo Marzio volgarizzato dal Martinelli, come anche la Bolla 234 e 323 del detto Bollario Cassinense.

TESTIMONIANZE DELLA NASCITA DI CASTELNUOVO

Negli strumenti dell’Archivio della Comunità Ecclesia di Castelnuovo ancora oggi si legge: Castel Novo in Collina, e il suo territorio collinense e castellano. Gli atti dei SS Martiri Tolomeo e Romano parlano della Pentapoli come una città sola, anche l’imperatore Claudio nel suo codice dice la nostra città e non le nostre città e così pure il sacerdote e noni sacerdoti della Pentapoli. E ancora nella sentenza pronunciata da Aspasio,prefetto romano, in seguito all’accusa contro i due suddetti martiri fatta da Porfirio è detto: <<Mandamus extra muros nostre civitatis pentapolis duci, ibique orum capita absuque misercordia truncari >>.

Il Nobili però parlando della Pentapoli la fa costituita da cinque città fra le quali Nepi che avrebbe compresso anche Belmonte di Castelnuovo. Le cinque città sarebbero state: Perentio, presso Viterbo, distrutta, Falisca, che si suppone le ancora esistenti rovine di Falleri presso Civita Castellana, Nepe, Villa Magna (forse la Villa rostrata di Pompeo Magno sulla Flaminia presso Rignano o quella dei Cesari ad Gallinas a Prima Porta, o la città di Rubra) Fidene, oggi Castel Giubileo. Lughelli col nome di Pentavoli indica chiaramente una sola città a sé distinta anche da Nepi e che sarebbe stata a Belmonte di castelnuovo e comprendente cinque Colonie le quali sono numerate nelel Bolle del Vescovato di Porto e citate dall’Ughelli stesso.

LA BOLLA DI GREGORIO IV

Nella Bolla di Gregorio IV del 1236, parlando di Castelnuo antico o Belmonte dice che le Colonie vennero in seguito a diminuire di abitanti cioè di coloni e di soldati veterani cjhe le occupavano e le abitavano e che per la mancanza il Vescovo Veientano erano state raccomandate a quello di Nepi e poi furono confermate e comprese nel Vescovato di Porto. << Confirmatus vobis casaria, et colonias at que Castellum in integrum qui appellantum : Attici, Dalmatia, Balneum, Stablà, Massa Giuliana, Positum in Territorio Nepesino milliario ab Urbe Roma plus minus biginti>>.

E Gregorio IX registrando le sue Chiese conclude: << Ecclesias in Belmonte, et Ecclesias in Castello Novo>> le dette cinque Colonie si estendevano da Belmonte a Monte la Guardia presso la via Flaminia e dalle loro rovine nacque Castelnuovo moderno che fu detto Castelnuovo in Colonna dai Signori Colonnesi che lo dominarono come rilevasi da moltissimi instrumenti dell’Archivio di Castelnuovo.

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PARTE I – LA VIA FLAMINIA E LE ORIGINI DI CASTELNUOVO DI PORTO