Trascrizione Discorso di Putin al Valdai Club

SABATO, 25 OTTOBRE 2014

Discorso di Putin al Valdai Club

images

   – Colleghi, signore e signori, amici, è un piacere darvi il benvenuto all’undicesimo incontro del Valdai International Discussion Club.E’ già stato menzionato il fatto che quest’anno il club ha nuovi co-organizzatori. Questi includono organizzazioni non governative russe, gruppi di esperti e università di primo piano. L’idea è stata anche quella di allargare le discussioni fino a comprendere non solo le problematiche legate alla Russia stessa, ma anche la politica globale e l’economia.

Spero che questi cambiamenti nell’organizzazione e nel contenuto rafforzeranno l’influenza del club come forum di esperti e di discussioni importanti. Allo stesso tempo, spero che rimanga lo ‘spirito di Valdai’, con quest’atmosfera libera e aperta, e l’opportunità di esprimere in tutti i modi opinioni molto diverse e schiette.

Mi si lasci dire a riguardo che non vi deluderò e parlerò in modo diretto e franco.
Alcune cose che dirò potranno sembrare un poco dure, ma se non parliamo direttamente e onestamente su ciò che pensiamo in realtà, allora non ha molto senso riunirsi in questi eventi. Sarebbe meglio in questo caso mantenere uno stile diplomatico, in cui nessuno dice qualcosa che abbia un senso reale e, ricordando le parole di un famoso diplomatico, ci si rende conto che i diplomatici hanno la lingua giusta per non dire la verità.

Ci siamo riuniti per alcune ragioni. Ci siamo riuniti per parlare apertamente l’un all’altro.
Abbiamo bisogno di essere diretti e schietti oggi, non per lanciare stoccate, ma per tentare di andare a fondo di ciò che sta realmente accadendo nel mondo, cercare di capire il motivo per cui il mondo sta diventando meno sicuro e più imprevedibile, e perché i rischi sono in aumento in tutto il mondo intorno a noi.

La discussione odierna si è svolta sul tema: Nuove Regole o Gioco senza Regole. Io penso che questa formula descriva accuratamente il punto di svolta storico che abbiamo raggiunto oggi e la scelta che dobbiamo affrontare. Non c’è sicuramente nulla di nuovo nell’idea che il mondo stia cambiando velocemente. So che di questo avete parlato nelle discussioni odierne. E’ certamente difficile non notare le drammatiche trasformazioni nella politica globale e nell’economia, nella vita pubblica, nell’industria, nelle tecnologie dell’informazione e della società.

Permettetemi di chiedervi sin da ora di perdonarmi se ripeterò alcune cose che i partecipanti alle discussioni hanno già detto. E’ praticamente impossibile evitarlo. Avete già sostenuto discussioni dettagliate, ma io esprimerò il mio punto di vista. Questo coinciderà con le visioni di alcuni partecipanti e differirà con quelle di altri.

Quando analizziamo la situazione odierna, non dobbiamo dimenticare le lezioni della storia. Innanzitutto i cambiamenti su scala mondiale – e quelli che vediamo oggi sono eventi di questa portata – sono solitamente accompagnati se non da guerre e conflitti globali, da una serie di intensi conflitti locali. Secondo, la politica globale è soprattutto leadership economica, problemi di guerra e pace e la dimensione umanitaria, inclusi i diritti umani.

Oggi il mondo è pieno di contraddizioni. Dobbiamo essere sinceri e chiederci se siamo dotati di un’affidabile rete di sicurezza in loco. E’ triste, ma non c’è alcuna garanzia né certezza che l’attuale sistema di sicurezza globale e regionale sia capace di proteggerci dagli sconvolgimenti. Questo sistema è diventato estremamente fragile, frammentato e deformato. Le organizzazioni di politica internazionale e regionale, economica e di cooperazione culturale stanno anch’esse attraversando momenti difficili.

Sì, molti dei meccanismi che abbiamo per assicurare ordine al mondo sono stati creati molto tempo fa, includendo soprattutto il periodo immediatamente seguente alla Seconda Guerra Mondiale. Lasciatemi sottolineare che la solidità del sistema creato allora si poggiava non solo sul bilanciamento di potere e sui diritti dei paesi vincitori, ma anche sul fatto che questo sistema dei “padri fondatori” avesse rispetto di ciascuno, non cercasse di prevalere sugli altri, ma tentasse di raggiungere degli accordi.

Il punto principale è che il sistema ha bisogno di svilupparsi e, nonostante le varie carenze, deve almeno essere in grado di mantenere gli attuali problemi mondiali entro certi limiti e regolare l’intensità della naturale competizione fra paesi.

Sono convinto che non possiamo prendere questo meccanismo di controlli e bilanciamenti, costruiti nelle ultime decadi, talvolta con grande sforzo e difficoltà, e semplicemente distruggerlo senza costruire niente al suo posto, altrimenti rimarremmo senza nessun’altro strumento se non la forza bruta.

Ciò che ci occorreva fare, è stato condurre una ricostruzione razionale e adattarla alle nuove realtà del sistema di relazioni internazionali.

Ma gli Stati Uniti, auto-dichiaratisi vincitori della Guerra Fredda, non hanno visto la necessità di farlo. Invece di stabilire un nuovo equilibrio di potere, essenziale per mantenere l’ordine e la stabilità, hanno intrapreso passi che hanno portato il sistema a squilibri profondi e acuti.

La Guerra Fredda è finita, ma non lo è stata con la firma di un trattato di pace contenente accordi chiari e trasparenti sul rispetto delle regole esistenti o creando nuove regole o nuovi standard. Così si è creata l’impressione che i cosiddetti “vincitori” della Guerra Fredda avessero deciso di fare pressioni per rimodellare il mondo secondo i propri bisogni ed interessi. Se il sistema attuale di relazioni internazionali, diritto internazionale e controlli e contrappesi impediva questi obiettivi, questo sistema veniva dichiarato inutile, vecchio e da demolire.

Mi si perdoni l’analogia, ma questo è il modo in cui i nuovi ricchi si comportano quando improvvisamente finisce una gran fortuna, in questo caso, la dominazione e la leadership nel modellare il mondo. Invece di gestire saggiamente la ricchezza, per il loro bene certamente, penso che questi abbiano commesso molte follie.

Siamo entrati in un periodo di interpretazioni differenti e silenzi deliberati nel mondo della politica. Il diritto internazionale è stato forzato a ritirarsi sempre di più sotto i colpi violenti di un nichilismo legale. L’obiettività e la giustizia sono stati sacrificati sull’altare della convenienza politica, interpretazioni arbitrarie e valutazioni di parte hanno rimpiazzato le norme legali. Allo stesso tempo, il controllo totale dei mezzi di informazione globali ha reso possibile, quando desiderato, mostrare il bianco come il nero ed il nero come il bianco.

In una situazione in cui sia ha la dominazione di una nazione e dei suoi alleati, o piuttosto dei paesi satelliti, la ricerca di soluzioni globali spesso volge in un tentativo di imporre le loro proprie ricette universali. Le ambizioni di questo gruppo sono cresciute a tal punto che essi iniziano a presentare le politiche messe insieme nei loro corridoi di potere come la visione di un’intera comunità internazionale. Ma non è questo il caso.

La nozione stessa di “sovranità nazionale” è diventata un valore relativo per la maggior parte dei paesi. In sostanza, ciò che è stato proposto è la formula: più grande è la lealtà verso l’unico centro di potere mondiale, più grande è la legittimità di questo o quel regime dominante.

Più tardi ci sarà spazio per la discussione libera e sarò felice di rispondere alle vostre domande e usare le mie ragioni per porre a voi delle domande. Provate a confutare le argomentazioni che avanzerò durante questa discussione.

Le misure prese contro coloro che rifiutano di sottomettersi sono ben note e sono state provate e testate molte volte. Esse comprendono l’uso della forza, la pressione economica e la propaganda, l’interferenza negli affari interni e l’appellarsi a un certo tipo di legittimità “sovralegale” quando hanno bisogno di giustificare l’intervento illegale in questo o quel conflitto o di ribaltare regimi scomodi. Ultimamente abbiamo avuto prova che nei confronti di numerosi leader sono stati fatti dei ricatti. Non è un caso che il “Grande Fratello” stia spendendo miliardi di dollari per mantenere sotto sorveglianza il mondo interno, inclusi i propri alleati più stretti.

Chiediamoci, quanto ci sentiamo a nostro agio in questa situazione, quanto siamo sicuri, come viviamo felici in questo mondo e quanto corretto e razionale è diventato? Forse non abbiamo motivi reali per preoccuparci, discutere e fare domande scomode? Forse l’eccezionale posizione degli Stati Uniti e il modo in cui stanno attuando la loro leadership è una benedizione per tutti noi, ed il loro interferire negli eventi di tutto il mondo è un portare pace, prosperità, progresso, crescita e democrazia e forse dovremmo solamente rilassarci e gioire di questo?

Lasciatemi dire che non è questo il caso, assolutamente non lo è.

Un diktat unilaterale e l’imporre i propri modelli produce il risultato opposto. Invece di pacificare i conflitti porta alla loro escalation, invece di stati stabili e sovrani vediamo crescere la diffusione del caos, invece di democrazia vi è il sostegno a soggetti di dubbia natura, che vanno dai neo-fascisti dichiarati agli islamici radicali.

Perché danno appoggio a tali persone? Lo fanno perché decidono di usarle come strumenti per raggiungere i loro obiettivi, ma poi si bruciano le dita e indietreggiano. Non ho mai smesso di stupirmi per il modo in cui i nostri partner continuano a tenere il passo con la stessa inclinazione, come diciamo qui in Russia, cioè continuano a compiere sempre gli stessi errori.

Una volta sponsorizzavano i movimenti estremisti per battere l’Unione Sovietica. Questi gruppi hanno avuto esperienza di scontri in Afganistan e più tardi hanno dato vita ai Talebani e ad Al-Qaeda. L’Occidente, quando non ha fornito supporto, ha perlomeno chiuso gli occhi e, direi, ha fornito supporto d’intelligence, politico e finanziario per l’invasione di terroristi internazionali in Russia (e questo noi non lo abbiamo dimenticato) e nei paesi del Centro Asia. Solo dopo che orribili attacchi terroristici sono stati compiuti sul suolo americano stesso, gli Stati Uniti si sono svegliati verso la comune minaccia del terrorismo. Lasciatemi ricordare che noi siamo stati il primo paese a sostenere gli Americani, il primo a reagire come amici e partner alla terribile tragedia dell’11 settembre.

Durante le mie conversazioni con i leader americani ed europei ho sempre parlato della necessità di combattere uniti contro il terrorismo, come sfida su scala globale. Non possiamo arrenderci e accettare questa minaccia, o tagliarla in pezzi separati usando un doppio standard. I nostri partner hanno espresso il loro accordo, ma poco tempo dopo siamo tornati al punto di partenza. Prima c’è stata l’operazione militare in Iraq, poi in Libia, che è stata spinta sull’orlo del precipizio. Perché la Libia è stata portata a questa situazione? Oggi è un paese in pericolo di disgregazione ed è divenuto terreno di esercitazione per i terroristi.

Solo la determinazione e la saggezza dell’attuale leader egiziano hanno salvato questo stato arabo chiave dal caos e dagli estremisti. In Siria, come in passato, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno iniziato direttamente ad armare e a finanziare i ribelli, consentendo loro di riempire le proprie fila con mercenari di varie nazioni. Lasciatemi chiedere: questi ribelli dove prendono il denaro, le armi e gli specialisti militari? Da dove arriva tutto questo? Come ha fatto il famoso ISI a diventare un gruppo così potente, una forza realmente armata?

Fra le fonti di finanziamento oggi non troviamo solo la droga, la cui produzione è aumentata esponenzialmente, e non solo di qualche punto percentuale, da quando la coalizione internazionale è presente in Afganistan. Voi siete consapevoli di questo: i terroristi ricavano denaro anche dalla vendita del petrolio, il quale viene prodotto nel territorio controllato dai terroristi, che lo vendono a prezzi stracciati, lo producono e lo trasportano. Ma qualcuno compra, rivende e ci ricava un profitto, non pensando al fatto che stanno finanziando dei terroristi e che presto o tardi arriveranno sul loro suolo e semineranno distruzione nei loro paesi.

Dove prendono le nuove reclute? In Iraq, dopo che Saddam Hussein fu rovesciato, le istituzioni dello stato, incluso l’esercito, sono state lasciate andare in rovina. Allora dicemmo di stare molto, molto attenti. State mandato la gente per strada, e cosa faranno poi? Non dimenticate (giustamente o no) che erano a capo di una potenza regionale e ora in che cosa li state trasformando?

Quale è stato il risultato? Decine di migliaia di soldati, ufficiali ed ex attivisti del partito Baath sono stati lasciati per strada e oggi si sono uniti alle schiere dei ribelli. Forse questo spiega perché il gruppo dello Stato Islamico sia diventato così efficiente? In termini militari sta agendo in modo efficiente e ha al suo interno persone molto professionali. La Russia ha avvertito ripetutamente sul pericolo di azioni militari unilaterali, nei confronti degli affari degli stati sovrani e della possibilità di intesa con gli estremisti e i radicali. Abbiamo insistito perché questi gruppi che combattono contro il governo centrale siriano, soprattutto lo Stato Islamico, fossero inseriti nella lista delle organizzazioni terroristiche. Abbiamo visto qualche risultato? Il nostro appello risultato vano.

A volte abbiamo l’impressione che i nostri colleghi e amici stiano costantemente combattendo contro le conseguenze delle loro stesse politiche, impiegando tutti i loro sforzi contro i rischi che essi stessi hanno creato e pagando un prezzo ancora più alto.

Colleghi, questo periodo di dominazione unipolare ha ampiamente dimostrato che avendo un solo centro di potere non si rendono più gestibili i processi globali. Al contrario, questo tipo di costruzione instabile ha mostrato la sua inadeguatezza nel combattere le reali minacce quali i conflitti regionali, il terrorismo, il traffico di droga, il fanatismo religioso, lo sciovinismo e il neo-nazismo. Allo stesso tempo ha aperto una strada ampia all’orgoglio nazionale, alla manipolazione della pubblica opinione e ha lasciato che i forti prevaricassero e i deboli venissero oppressi.

Essenzialmente il mondo unipolare è un modo semplice per giustificare la dittatura sulle persone e sulle nazioni. Il mondo unipolare è diventato troppo scomodo, pesante e ingestibile, un fardello persino per gli auto-proclamati leader. I commenti su questa linea sono appena stati fatti e mi trovano d’accordo. Questo è il motivo per cui, in questo momento storico, vedo tentativi di ricreare una sembianza di un mondo quasi-polare come modello conveniente per perpetuare la leadership americana. Non importa chi prende il posto del cattivo nella propaganda americana, il vecchio posto dell’URSS come principale avversario. Può essere l’Iran, in qualità di nazione aspirante ad acquisire la tecnologia nucleare, la Cina, in qualità di nazione con l’economia maggiore o la Russia, in qualità di superpotenza nucleare.

Oggi vediamo nuovi sforzi per frammentare il mondo, tirare nuove linee divisorie, mettere assieme coalizioni non costruite su qualcosa, ma dirette contro qualcuno, chiunque, creare l’immagine di un nemico come fu nel periodo della Guerra Fredda, e ottenere il diritto a questa leadership, o diktat se preferite. La situazione è stata presentata in questo modo durante la Guerra Fredda. Tutti noi lo abbiamo capito e lo sappiamo. Gli Stati Uniti hanno sempre detto ai loro alleati: “Abbiamo un nemico comune, un terribile avversario, il centro del male, e vi stiamo difendendo, nostri alleati, da questo nemico, e quindi abbiamo il diritto di darvi ordini, di forzarvi a sacrificare i vostri interessi politici ed economici e pagare la vostra quota di costi per la difesa collettiva, ma saremo noi a farci carico di tutto questo”. In breve oggi vediamo tentativi di riprodurre in un mondo nuovo e mutevole i modelli di gestione globale e tutto questo per garantire la loro (degli USA) eccezionale posizione e consentir loro di raccogliere i dividendi politici ed economici.

Ma questi tentativi stanno sempre più deragliando dalla realtà e sono in contraddizione con la diversità del mondo. Passi di questo tipo creano inevitabilmente scontro e contromisure e provocano l’effetto opposto rispetto agli obiettivi auspicati. Vediamo ciò che succede quando la politica inizia a intromettersi avventatamente nell’economia e quando la logica delle decisioni razionali lascia spazio alla logica del confronto, che danneggia solo le posizioni economiche e gli interessi di uno soltanto, inclusi gli interessi nazionali.

I progetti economici congiunti e gli investimenti reciproci avvicinano le nazioni e le aiutano ad appianare i problemi attuali nelle relazioni fra stati. Ma oggi, la comunità del business globale sta affrontando pressioni senza precedenti da parte dei governi occidentali. Ma di cosa possono parlare la convenienza economica, gli affari e il pragmatismo quando sentiamo slogan come “la patria è in pericolo”, “il mondo libero è sotto minaccia” e “la democrazia è in pericolo”? E quindi tutti si devono mobilitare. Questo è il vero volto della politica di mobilitazione.

Le sanzioni stanno già sgretolando le fondamenta del commercio mondiale, le regole dell’OMC e il principio dell’inviolabilità della proprietà privata. Inoltre stanno fendendo un colpo al modello liberale di globalizzazione basato sui mercati, sulla libertà e sulla concorrenza che, vorrei far notare, è un modello di cui hanno principalmente beneficiato i Paesi occidentali, che ora rischiano di perdere la loro autorevolezza in qualità di leader della globalizzazione. Dobbiamo chiederci: perché è stato necessario arrivare a ciò? Dopo tutto, la prosperità degli USA si basa in larga parte sulla fiducia degli investitori e degli stranieri che possiedono denaro e titoli in dollari americani. Tale fiducia sta chiaramente vacillando ed emerge già visibilmente in molti Paesi la delusione verso i frutti della globalizzazione.
Il noto precedente di Cipro e le sanzioni basate su motivazioni politiche non hanno fatto altro che rafforzare la tendenza a cercare di rafforzare la sovranità economica e finanziaria e il desiderio dei Paesi e dei loro gruppi regionali di trovare dei modi per proteggersi dal rischio della pressione esterna. Abbiamo già visto che un numero sempre crescente di Paesi sta cercando il modo di dipendere sempre meno dal dollaro e sta mettendo in piedi alternative finanziare e sistemi di pagamento e valute per le riserve. Penso che i nostri amici americani si stiano semplicemente scavando la fossa con le loro stesse mani. Non bisogna mischiare politica ed economia, ma questo è ciò che sta accadendo proprio ora. Ho sempre ritenuto, e tuttora sono convinto, che sanzioni dettate da motivi politici siano un errore che porterà danno a tutti, ma sono certo che torneremo di nuovo su questo argomento in seguito.
Sappiamo come sono state prese queste decisioni e chi sta facendo pressioni. Lasciatemi tuttavia sottolineare che la Russia non si sta agitando, offendendo né sta bussando alla porta di nessuno. La Russia è un Paese autosufficiente. Opereremo nello scenario economico che si è formato sviluppando la produzione e la tecnologia nazionale e agiremo in modo più deciso per apportare trasformazioni. La pressione dall’esterno, come è successo in occasioni passate, potrà solo consolidare la nostra società e mantenerci reattivi e concentrati sui nostri obiettivi di sviluppo.
Naturalmente le sanzioni sono un ostacolo. Stanno cercando di danneggiarci attraverso le sanzioni, tentano di bloccare il nostro sviluppo e di spingerci in un isolamento politico, economico e culturale obbligandoci, in altre parole, a rimanere arretrati. Ma lasciatemi ripetere ancora una volta che il mondo oggi è molto diverso. Non abbiamo intenzione di restare chiusi fuori rispetto agli altri né di scegliere una sorta di percorso di sviluppo chiuso, all’insegna del vivere in autarchia. Siamo sempre aperti al dialogo, soprattutto per quanto riguarda la normalizzazione delle nostre relazioni economico-politiche. Facciamo affidamento sull’approccio pragmatico e sulla posizione della comunità degli affari nei Paesi avanzati.
Oggi qualcuno dice che la Russia sta voltando le spalle all’Europa – queste parole sono probabilmente già state pronunciate anche qui durante le discussioni – e che stiamo cercando nuovi partner commerciali soprattutto in Asia. Lasciatemi dire che non è affatto così. La nostra attività politica nella regione asiatica del Pacifico non è iniziata ieri e non è una reazione alle sanzioni, bensì una politica che stiamo perseguendo già da molti anni. Come molti altri Paesi, inclusi i Paesi occidentali, abbiamo notato che l’Asia sta giocando un ruolo sempre maggiore nel mondo, nell’economia e nella politica e non ci si può permettere il lusso di non tenere in considerazione questi sviluppi.
Lasciatemi nuovamente dire che tutti stanno agendo in questo modo e che anche noi lo faremo, tanto più che una grande porzione del nostro Paese si trova geograficamente in Asia. Perché non dovremmo sfruttare i nostri vantaggi competitivi in questa zona? Non farlo sarebbe una mossa estremamente miope.
Sviluppare i legami economici con questi Paesi e attuare progetti di integrazione comune incentiverà in modo significativo il nostro sviluppo interno. Le tendenze demografiche, economiche e culturali odierne suggeriscono che la dipendenza da un’unica super potenza diminuirà in modo oggettivo. Gli esperti europei e americani ne stanno già parlando e scrivendo.
Probabilmente gli avvicendamenti nella politica globale sono lo specchio degli sviluppi che vediamo nell’economia globale, ovvero la presenza di un’intensa competizione in nicchie specifiche e frequenti cambiamenti di leader in zone particolari. Questo è assolutamente possibile.
Non c’è dubbio che i fattori umanitari quali istruzione, scienza, sanità e cultura svolgano un ruolo sempre maggiore nella competizione globale. Questo rappresenta anche un forte impatto sulle relazioni internazionali, anche perché queste risorse di ‘potere morbido’ (soft power) dipendono in larga misura dagli effettivi risultati nello sviluppo del capitale umano piuttosto che da sofisticati giochetti di propaganda.
Allo stesso tempo, la formazione di un cosiddetto ordine mondiale policentrico (vorrei concentrare la vostra attenzione su questo punto, colleghi) di per se stesso non migliora la stabilità, anzi è più probabile che porti all’effetto opposto. L’obiettivo di raggiungere un equilibrio mondiale si sta trasformando in un puzzle abbastanza difficile, un’equazione con molte incognite.
Quindi cosa ci attende se scegliamo di non giocare secondo le regole, anche se sono severe e poco convenienti, ma di vivere senza alcuna regola? Questo scenario ha assolute possibilità di realizzarsi, non possiamo escluderlo viste le tensioni esistenti a livello globale. Si possono già fare molte previsioni, considerando le tendenze attuali, e sfortunatamente sono tutt’altro che ottimistiche. Se non creiamo un chiaro sistema di impegni e accordi, se non costituiamo meccanismi per gestire e risolvere le crisi, i sintomi di un’anarchia globale non potranno che crescere inevitabilmente.
Oggi ci troviamo già di fronte a una crescente probabilità che si verifichino una serie di violenti conflitti con la partecipazione diretta o indiretta delle maggiori potenze mondiali. I fattori di rischio non riguardano soltanto i tradizionali conflitti multinazionali ma anche l’instabilità interna dei singoli stati, specialmente se ci riferiamo a nazioni che si trovano al crocevia degli interessi geopolitici dei maggiori stati oppure al confine di continenti e civiltà culturali, storiche e economiche.
L’Ucraina, che sono certo è stata discussa a lungo e verrà trattata ancora, è un esempio di questo tipo di conflitti che influiscono sull’equilibrio di potere internazionale e credo che non sarà di certo l’ultimo. Da qui deriva la prossima vera minaccia di distruzione del sistema degli accordi per il controllo delle armi. Questo pericoloso processo è stato avviato dagli Stati Uniti d’America quando si sono unilateralmente ritirati dal trattato contro i missili balistici nel 2002 e hanno poi iniziato, continuando ancora oggi, a perseguire attivamente la creazione di un sistema di difesa missilistica globale.

fonte:

http://en.kremlin.ru/